Ed eccoci qui, mancano 10 giorni alla Giornata internazionale contro la violenza sulle donne e io fremo.
Mica solo per il tema. Ogni anno guardo tante, troppe campagne di comunicazione istituzionali che vivono di quei “si è sempre fatto così”. Mi azzardo a dire che una delle ragioni per cui le cose non cambiano sia proprio in quella frase. Pazzesco eh.
Qualche anno fa ho fatto ricerca e intervistato volontarie e psicologhe del Telefono Donna – il Centro Antiviolenza della provincia di Savona – per scrivere i testi del loro sito. Le ringrazio tutt’ora molto, perché hanno insegnato a me mentre stavo facendo un lavoro per loro.
Ogni volta che faccio la prima intervista ho già delle idee in testa di come mi piacerebbe venisse un progetto, sicuro per competenze ma anche in base a quanto io ne sappia o mi appassioni (ma anche quando ne so poco, diciamocelo). Questo perché noi esseri umani abbiamo 'sto vizietto di fare una fatica immane a metterci nei panni delle altre persone. Quindi, il lavoro mi allena a prendere le mie belle idee, dir loro “grazie, care, state un attimo qui”, e fare spazio. Per poi mettere tutto insieme e vedere dove e come si intersecano, cosa ne viene fuori.
Nel caso del Telefono Donna, il mio bagaglio di supposizioni era molto simile alle aspettative di chi avevo intervistato.
Ve le elenco qui, perché ha molto a che fare con i regali che mi piacerebbe ricevere dalle comunicazioni del 25 novembre, quest’anno (uso questo “mi” per dire “ci”, come donne e pure come collettività intera, ché come al solito fare cose per una parte oppressa della società fa bene a chiunque).
Accoglienza vs pietismo
”Niente foto di donne con (finti) lividi che si parano il viso, per favore”.
È stata una delle prime frasi della nostra intervista. Non ho detto niente, ma ho annuito. Era una considerazione visiva ma valeva per tutto il concetto del sito: il punto è accogliere, far sentire le persone capite e non sbagliate. Donne di qualsiasi nazionalità, grado di istruzione, posizione economica, orientamento sessuale: non sono vittime sfortunate di qualche raptus di follia, sono persone che vivono in un sistema che fa male a tutty; sistema che minimizza la pericolosità di se stesso.
Il risultato è che spesso manco si osa parlarne, esprimere disagio, dirsi ad alta voce che c’è qualcosa che non va, figurarsi chiedere aiuto.
Mi viene da dire che accogliere con comprensione è diverso dallo sbattere in faccia alle donne che sono vittime incapaci di fare qualcosa.
Deboli, indifese, fuori dalla norma. Che avrebbero potuto fare di più, fare meglio, tutelarsi a dovere - grazie, mi viene da dire, utilissimo.
C'era un'esigenza urgente di dare una virata alla narrazione pietistica, dai toni cupi, che faceva percepire il Centro Antiviolenza unicamente come un luogo di dolore dove si arriva cercando soccorso, perché è anche molto altro: ascolto, promozione collettiva di una cultura di genere, che crede all’uguaglianza sociale, politica ed economica di tutte le persone.
Volevamo usare un con tono calmo, caldo, amichevole, come un’altra donna che ti prende per mano ed empatizza con te doppiamente, perché ti comprende e perché è estremamente preparata ad accompagnarti altrove, se vorrai.
Se stiamo per pubblicare comunicazioni per il 25 novembre, facciamoci questo regalo: alleniamoci a chiederci se stiamo usando accoglienza o pietismo.
Qui trovi uno spazio protetto e non giudicante, non importa quanto tu ti senta strana, sbagliata, confusa, fuori posto. Siamo allenate, siamo donne come te.
Parlare alla collettività vs esortare le donne
“Chiedi aiuto”, “denuncia”: è il leit motiv di tante campagne.
Che, per carità, non usa frasi senza senso. Ma fa un lavoro parziale: la responsabilità di fare qualcosa pare solo della vittima.
Facciamo una pausa.
Torniamo indietro e rileggiamo la frase.
Ci fa strano, no?
La responsabilità pare della vittima.
Eppure è quello che succede, ogni anno in questo giorno (e tutti gli altri, esatto sì).
Un bellissimo regalo per questo 25 novembre, il mio Natale, sarebbe allargare lo sguardo, parlare alla collettività, proporre passi concreti, roba che non sia solo caruccia da dirsi ma anche che faccia venire voglia di attivarsi.
Momenti per ragionare sulla responsabilità di tutty.
Un ottimo lavoro lo sta facendo Fondazione Libellula, che vi consiglio di seguire se servono spunti.
Avere gli uomini dalla nostra parte (che è quella di tutty, poi)
Bon, questo è il regalo che a livello emotivo forse mi smuove di più.
Vedere uomini che ne parlano, si espongono, portano il tema nelle riunioni, al bar, sui social (pazzesco!) rompono le bolle, come dice Margot Delìperi - bolle intese come gli ambiti più o meno ristretti dove già si parla di questi temi.
C’è bisogno di voi, amici maschi.
C’è bisogno di alleati (maschile universale voluto).
Ché la vostra voce con altri uomini si sente meglio della nostra - non mi stanco di ripeterlo, mi piace questa cosa? No. Voglio cambiarla? Certo. Mi sa che si passa da qui. Per aggiungere sempre la postilla: la cultura in cui viviamo fa male anche agli uomini.
Agevolo qui un piccolo ma enorme manuale di Lorenzo Gasparrini:
Insomma, siamo e siate tutty generosy, per questo non-Natale ma Natale del 25 novembre.
Io ho finito, ci vediamo tra due settimane (sì oggi è mercoledì, l’ho detto che è la newsletter con meno costanza del creato).
❤️